Siamo reduci da un nuovo lungo viaggio per l’Italia del vino. In Calabria, Sicilia, Sardegna, Abruzzo, Veneto e Piemonte, abbiamo ritrovato alcuni vignaioli che alla biodinamica e al naturale ci si sono avvicinati da anni senza mai farne una questione ideologica. Alla base di questa scelta, che comporta sacrifici e basse rese, c’è la consapevolezza che impongono il rispetto della terra e la tutela della salute. C’è un’attenzione quasi maniacale che niente ha a che fare con maghi e streghe. E’ più che altro certezza che il biologico è solo il primo passo verso un’agricoltura etica. Le pratiche intensive ancora concesse in vigna, quelle non hanno alcun rispetto per il territorio e la biodiversità. Bbasti pensare ad esempio al glifosato, pratica ancora lontanissima dal condurci verso un’agricoltura pulita. Partiamo da qui, per capire perché bere un vino naturale.
Ragion per cui il sarcasmo, per non dire la ferocia, utilizzato spesso nei confronti di chi ha avviato percorsi naturali, peraltro totalmente al di fuori dalle logiche del mercato di massa, fa davvero rabbia, soprattutto quando il sostegno a certe tesi avviene anche da parte di chi ha sempre dimostrato, almeno a parole, una certa sensibilità nei confronti dell’ecologia.
Una cosa è però certa: le pratiche naturali, in vigna e in cantina, non hanno mai fatto male a nessuno, perché sono sistemi innanzitutto non interventisti. Quindi forse più che chiedersi perché bere un vino naturale, potremmo iniziare con il chiederci perché non berlo. Per produrre un vino naturale non si fanno danni. I danni fatti in Veneto – ma non solo in quelle zone – da certe pratiche massive e preventive sono, invece, noti a tutti. Va da sé che quella è una scelta complicata, che va parallelamente accompagnata da comportamenti coerenti in cantina. Qui non si tratta di mettersi dalla parte delle pratiche convenzionali o della biodinamica ma, piuttosto, di elevare la consapevolezza. Senza avere la sensazione di doversi mettere al riparo da un futuro invadente.