Il vino rosso, il vino bianco. E poi le bolle. E il vino rosato? Partiamo dal nome e chiamiamolo, appunto, vino rosato e non rosè, che lo farebe sembrare, come spesso è stato percepito dai consumatori, un vino figlio di un Bacco minore. Vero è che in Italia, che pure vanta in alcuni regioni, soprattutto al sud, un discreta tradizione, il rosato non hai quasi mai conquistato grandi apprezzamenti. Tuttavia, se usciamo dai cliché, dall’idea che sia un vinello, è un mondo che può regalare grandi soddisfazioni anche ai palati più fini ed esperti.
Basta infatti uscire dal mercato dei pallidi vini convenzionali per trovare bottiglie sorprendenti. Per chi scrive, che ha sempre messo il Cerasuolo di Emidio Pepe e il Sangiovese di Pacina tra i suoi vini rosa da avere sempre in cantina, il rosato rappresenta da sempre un valido motivo per andare alla ricerca di nuove eccellenze. E le soddisfazioni sono arrivate da più parti: dal Piemonte alla Toscana, dall’Abruzzo alla Sicilia, sia tra i vini frizzanti che tra quelli fermi, sia tra i rosati ottenuti in purezza sia tra quelli prodotti in uvaggio.
Naturalmente la differenza la fa la mano del vignaiolo, la sua sensibilità nell’utilizzare la buccia, la sua esperienza nel calibrare uve a bacca bianca e uva e bacca nera. E certamente anche il nostro gusto, un elemento che non va mai sottolineato almeno finché non diventa un limite. Il nostro consiglio, quando si degusta una nuova bottiglia è di farlo senza farsi condizionare dal cibo. Bere un primo bicchiere senza confonderlo con un piatto è sempre un buon esercizio.
E ora che ci avviciniamo alla stagione più calda – quando i rosati avranno più spazio sulle nostre tavole, anche se consigliamo sempre di fare attenzione a quella brutta abitudine di uccidere i vini con temperature troppo basse – forse è arrivato il momento di mettere in cantina qualche buona etichetta. Intanto ve ne suggeriamo tre: la bolla rosa e anarchica di Francesco Cirelli, il rosato da Osteria de La Brigata e la Gemma Rosa di Arnaldo Rossi.